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Totò Cuffaro libero il 16 dicembre: “il mio tempo per la politica è finito”

Solo due mesi alla scarcerazione dell’ex presidente della Regione Siciliana, Totò Cuffaro (in foto) che finisce di scontare la pena dopo la condanna per favoreggiamento a soggetti ritenuti appartenenti alla mafia e ricelazione di segreti giudiziari.

Ben 5 anni di galera, dove Totò non ha avuto alcuno “sconto”, se non quello per buona condotta previsto dal codice di procedura penale.

Un Natale a casa quello che trascorrerà Cuffaro, visto che le “sbarre” si apriranno definitivamente per lui il prossimo 16 dicembre; data quest’ultima da molti attesa in quanto ancora oggi Cuffaro è considerato uno degli uomini più potenti della Sicilia.

Ma chi crederà ad un suo ritorno alla vita politica, sbaglia di grosso. E a spegnere definitivamente le speranze di fans e stimatori, è lo stesso ex governatore siciliano che afferma come “la politica è stata la mia vita, il modo in cui mi sono donato alla gente. Non rinnego la scelta di aver fatto il presidente della Regione e lo rifarei – afferma al quotidiano “Il Tempo” – è stato un onore essere il presidente dei siciliani. la consapevolezza di essere stato votato da 2 milioni di siciliani ed avere avuto la loro fiducia mi riempie di orgoglio e non nego che se il vecchio Cuffaro manca a qualcuno ciò mi fa piacere. Ma il mio tempo per la politica è finito. Io la facevo nel tempo delle ideologie e dei valori. oggi sarei un pesce fuor d’acqua perché valori non ce ne sono più”.

“Sono stanco, provato, ma sto bene – sottolinea Cuffaro -. Nelle carceri si vive nella miseria che impone la legge dell’uomo. Pesa la condizione di detenuti. Questa nostra condizione e’ il nostro cilicio, ed avvolge corpo e mente. L’uomo che e’ in noi soffre e grida il suo silenzio; grida fame e miseria, grida, si sciupa e si dissecca la vita e grida il tempo, l’anima e in tutti noi si spezzano i cuori. Il carcere non ti priva soltanto della liberta’. Ti toglie il fiato, il respiro lungo della vita”.

“Al carcere – aggiunge l’ex senatore a “Il Tempo” – non ci si abitua mai cosi’ come non si dimentica. Ancora adesso nelle notti insonni e amare sento piu’ forte il bisogno di fare l’appello degli affetti. Esco con la mente dalla cella, nel buio vado in giro per il carcere desolato; ascolto il rumore dei miei passi e respiro il tanfo che di notte e’ intriso di compassione. Nel buio sento il respiro duro e doloroso dei miei compagni detenuti, neanche le tenebre riescono a nascondere le angosce. Sconfitto, accendo la povera luce del mio letto e osservo la foto che mi ritrae insieme a mia moglie e ai miei figli e mi da’ conforto cogliere impresso nei loro occhi quello che mi serve”. Di farla finita, dice, “non ci ho mai pensato anche se purtroppo ho visto miei compagni, nelle celle accanto e di fronte, che si sono determinati nel farlo. La vita va accettata così com’è. La Ballata del carcere di Reading, magnifica opera di Oscar Wilde, ben descrive la vita dei reclusi e la loro disperazione: ‘E il lancinante rimorso e i sudori di sangue, nessuno li conosce al pari di me: perché colui che vive più di una vita deve morire anche più di una morte'”.

“Ho perso 30 chili – aggiunge – e almeno in questo il carcere non è stato negativo”. E la mafia? “La mia coscienza – risponde – sa di non aver mai favorito la mafia ma di averla combattuta amministrativamente e culturalmente. Tante persone che mi sono state vicine con le lettere mi hanno aiutato a portare la croce con la preghiera”. E oggi Totò ‘vasa vasa’, aggiunge, “è un uomo più vecchio, più innamorato della vita, più consapevole che la vita è il più grande dono che abbiamo avuto: è amore, è rispetto dell’altro e della sua libertà, è comprendere senza mai stancarsi. Ho avuto paura di non sapere affrontare questa avversità e di fallire la prova a cui ero stato chiamato. Oggi posso dire che ce l’ho fatta. Non mi manca il vecchio Totò anche se confesso che mi sarebbe molto di conforto e mi piacerebbe sapere che manca agli altri (ho ricevuto 13 mila lettere). So che tornato in libertà nulla sarà come prima. Sono come il mendicante che credeva di essere un re, pensava di esserlo diventato perché si era fatto da se’ e che la vita si è incaricato di farlo tornare quello che è giusto che sia: se stesso”.

“In cella – sottolinea – ci si abitua a tutto, non si ha scelta. Nella mia ora d’aria mattutina corro, poi leggo, studio, scrivo. Ho gia’ scritto e sono stati pubblicati due libri sulla vita in carcere, sui sentimenti dei detenuti, le loro ansie, speranze, illusioni e sogni. Scrivo del trattamento inumano nelle carceri sovraffollate. Io che sono medico, in carcere mi sono iscritto a giurisprudenza. Ancora due esami e potrò laurearmi”. “Mi sono rimasti vicini tanti amici e colleghi di partito – aggiunge -. Moltissimi mi hanno scritto e altri sono venuti a trovarmi. Altri ancora hanno preferito prendere le distanze. Ricordo i primi con affetto e i secondi senza risentimento nelle mie preghiere. Mi è stata rubata una parte della vita, ma la perdita di questa parte e’ servita a sostenere la mia stessa vita e l’ha resa più forte e più vera. La vita è il dono più grande che si riceve e l’aver avuto intaccato questo dono da una radicale ingiustizia impone a chi l’ha subita di amarla con più forza e di combattere per la verità, non innalzando barriere ma gettando ponti. Sono stato mortificato e ho avuto soggiogata la mia innocenza ma non sono stato cancellato nelle coscienze di tanti che mi vogliono bene”.

 

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