Di seguito il messaggio che mons. Alessandro Damiano, Arcivescovo di Agrigento, ha pubblicato su “L’Amico del Popolo” in occasione della III Giornata nazionale di preghiera della Chiesa italiana per le vittime e i sopravvissuti agli abusi.
IL MESSAGGIO
“Il 18 novembre – scrive mons. Damiano – viene celebrata la terza Giornata nazionale di preghiera della Chiesa italiana per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili. Come leitmotiv di questa giornata è stato scelto un versetto tratto dal libro del profeta Geremia: “La Bellezza Ferita”. «Curerò la tua ferita e ti guarirò dalle tue piaghe» (Ger 30,17). Una lettura cristologica del versetto succitato ci fa comprendere come sia il Signore Gesù, «il Bel Pastore» (Gv 10,11) ferito e trafitto sulla croce dai nostri peccati, colui il quale cura le ferite e guarisce le piaghe. Geremia utilizza un modus dicendi caro alla letteratura ebraica: il parallelismo sinonimico. Ossia, ribadisce e ripete un concetto, per farlo imprimere in profondità nel cuore, per mezzo di sinonimi. “Curare la ferità”, quindi, equivale a “guarire la piaga”. Gesù, vero “buon samaritano” (cf. Lc 10,25-37) è, infatti, in grado di curare le ferite e guarire le piaghe, versando su esse «l’olio della consolazione e il vino della speranza» (Prefazio comune VIII); egli che ha portato i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce (cf. 1Pt 2,24). Il versetto del libro del profeta Geremia fa parte di una sessione che viene denominata, dai commentatori, il “libro della consolazione” (Ger 30-31). Curare le ferite e guarire le piaghe di chi ha subito abusi è, dunque, anzitutto opera del Signore Gesù crocifisso e risorto e del suo Santo Spirito Consolatore. Ma noi, che cosa possiamo fare affinché le ferite siano curate e le piaghe risanate? Possiamo, ci ricorda il “libro della consolazione” del profeta Geremia, consolare. Consolati dallo Spirito Consolatore possiamo, a nostra volta, consolare (cf. 2Cor 1,3-4). Consolare – come indica l’etimologia della parola – significa concretamente stare con chi è solo e isolato nel suo dolore e nella memoria del male subito e patito. Stare con qualcuno è sostare con riverenza e rispetto, «con timore e tremore» (Fil 2,12) presso il mistero dell’altro. Ma c’è modo e modo di stare vicino a chi soffre. C’è la modalità dei famigerati amici di Giobbe, pieni e tronfi di sapere, pronti a trovare una giustificazione, una “teodicea” per ogni male inferto e sofferto. Ma la scienza gonfia, è la carità che edifica, ci ricorda san Paolo (cf. 1Cor 1,8). D’altra parte, c’è una postura giusta, corretta, adeguata – sovente silenziosa – di stare con chi soffre, di curare le sue ferite e guarire le sue piaghe. È la postura della Vergine Maria presso la croce di Gesù, di suo Figlio. Consolare le vittime d’abuso, infrangere la bolla asfissiante e isolante della loro sofferenza, risanarne le piaghe è, quindi, un compito ecclesiale; eminentemente e squisitamente mariano. A Maria consolatrice, a lei che è la “Tutta bella” ferita sotto la croce dalla spada del dolore e dell’amore (cf. Lc 2,35) affidiamo, dunque, i nostri sentieri “non interrotti” di cura e di guarigione delle ferite e delle piaghe inferte e sofferte. In modo tale che la “ferita” diventi una “feritoia”, attraverso la quale entri lo Spirito Santo Consolatore, Curatore e Guaritore, che «lava ciò che è sordido, bagna ciò che arido, sana ciò che sanguina» (cf. la sequenza liturgica di Pentecoste Veni, Sancte Spiritus). Solo grazie allo Spirito Santo diverremo “tessitori” instancabili di speranza”.