Le colture agricole hanno significato, agli albori della storia agrigentina, una economia molto prospera e la città, una volta stabilizzatasi politicamente ed affermatasi esternamente, riusciva ad esportare la propria produzione frutto di lussureggianti uliveti e vigneti in ogni dove commercialmente accessibile. Pertanto gli akragantini, nel loro modo di vivere ed in alcuni curiosi vezzi, potevano permettersi di ricalcare il lusso e l’opulenza delle grandi città della madre patria.
Il segmento granicolo, anche nei periodi più bui della storia akragantina come quello della caduta sotto Cartagine, a scapito delle produzioni dette in precedenza, resto’ la garanzia di una rifioritura economica e sociale.
La storia e la terra hanno forse eletto il grano come elemento vitale per la città, affidando un ruolo ancestrale ed anche sociale ai prodotti che ne derivino e l’esempio più chiaro pare reiterarsi le prime due domeniche di luglio, quando in effetti sembra funzionalizzarsi in un contesto mai casuale, tra mito e rito, l’ascesa del pane o meglio dei panuzzi di San Calogero.
In genere, nelle manifestazioni popolari, i demologi tendono a connotare gli atteggiamenti conchiusi e ripetuti come rappresentazioni funzionali di un retaggio culturale che spesso, come accade nei festeggiamenti Calogerini della classe subalterna, coincidono nell’identificazione ritualizzata dei cicli strutturali legati al sostrato economico misto alla percezione spirituale.
Il dono del pane coniuga evidentemente varie tipologie di fenomeni e riserva all’osservatore quell’attenzione peculiare che sfugge ai molti.
Calogero è sicuramente una figura che riscatta i diseredati e merita l’adulazione di coloro che in quel periodo dell’anno si sono asciugati la fronte dopo l’immane lavoro in campagna, ammesso di certo che l’economia della terra sia quella preminente.
Calogero riempie di significato il tema della ‘raccolta’: Lui, a suo tempo raccoglieva viveri per gli appestati; allo stesso modo i contadini, nello stesso periodo, hanno appena raccolto le messi, ed alcuni video documenti storici dimostrano cosa comportava quel lavoro nei primi decenni del secolo scorso, aggiungendo inoltre che vi erano molti rischi che potessero compromettere tutti gli scrupoli laboriosi di una stagione.
La festa di San Calò si può configurare quindi come festa del raccolto e dell’abbondanza, e lo spreco del pane per le strade ne è testimonianza, come anche le donazioni di pani benedetti ai vicini ed ai parenti, in maniera da rafforzare anche i legami familiari e sociali.
Si evince la valenza di quel panuzzo, che diviene amuleto ed oggetto apotropaico.
Tali le rappresentazioni in questo senso legate alla guarigione. Il riscatto passava dall’affidamento e, dunque, si chiedeva intimamente al santo di graziare un congiunto o di guarire una parte del corpo, ed allora, ove fosse avvenuto, comparivano i ‘voti’, ovvero dei pani con la forma delle parti del corpo miracolate e benedette al santuario.
Ma perché i tipici panuzzi cerimoniali contengono i semi di finocchio selvatico?
In realtà i semi sono più propriamente i frutti del Foeniculum vulgare, cioè la diffusissima pianta di finocchio selvatico che spontaneamente cresce in quasi tutto il sud Europa.
Il finocchio selvatico ha delle proprietà fitoterapiche importanti: emmenagogo, diuretico, carminativo, antiemetico, aromatico, antispasmodico, antinfiammatorio, tonico epatico.
Sembra simbolicamente e chimicamente collegato al potere taumaturgico del Santo del quale pare rappresentarne alcuni attributi legati alle grazie ricevute.
Quel lancio dei panuzzi, dalle inferriate alte attorno al santuario, dai balconi e da ogni parte da cui profondamente avvenga quel gesto, è un identificazione che si è tentato di interpretare: un lancio per rimarcare l’identita’ legata ad un rappresentante mitico della città.
Quel Calogero al quale delegare sul riscatto sociale nel tempo ‘altro’ e non esclusivo che scorre durante la ritualità in suo onore.
Un tempo mitico ‘riproposto’ che nel divenire dei lustri ha quasi perso la carica strutturale del sostrato contadino che ne fruiva, ma del quale Calogero resta portavoce esclusivo del trionfo dell’uomo sulla natura attraverso un elemento di esposizione che ne è frutto e dono: il dono del Pane.
Alessio Rossano
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