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A futura memoria Apertura

Salviamo la “Chiesa del Cristo delle Forche”, appello al Sindaco: c’è già la disponibilità di “Italia Nostra” e “Accademia di Belle Arti”

Il professore Giuseppe Jannuzzo – esegeta raffinato di quella disciplina a sfondo sociale che si chiama “microstoria” – la definiva come «l’altra Girgenti». E aveva ragione, perché la Rupe Atenea è perfettamente speculare al colle della Cattedrale, segnando il destino così diverso di questi luoghi. Due Girgenti, con una città che sta nel mezzo: l’una esibita, posta al centro di consuetudini accertate, e l’altra appartata in un meraviglioso isolamento, a debita distanza dalle cose. È forse per questo che la Rupe Atenea, al di là di qualche leggenda paurosa, vive una sorta di non-tempo storico, cioè la sensazione di una esemplarità sospesa. Prima di giungere al punto più alto, si trova un pianoro incantevole con una chiesetta, piccina come una cappella di campagna, quasi costruita sulla cresta arenaria del colle. Pochi gradini malmessi e un cancelletto striminzito permettono l’accesso a un lembo di terra incolto e abbandonato, avvilito da alcune antenne (e qualcuno, prima o poi, dovrà farsi carico di sapere nominare questo scempio per quel che è) e da un senso generale di degrado del tutto immeritato. Perché la chiesetta del Cristo delle Forche risale al XVI secolo ed è un bene di enorme pregio, che, proprio perché apparentemente fuori luogo con la modernità dell’intorno, si distingue per la bellezza che hanno le forme semplici e le costruzioni antiche. Inoltre c’è una storia che non andrebbe dimenticata, in quanto tutta quest’area fu utilizzata dal 1837 come fossa comune in cui seppellire gli ammalati di colera, e la chiesa divenne cappella cimiteriale. Fu abbandonata agli inizi del ‘900, e il costone sottostante a essa, nel periodo della guerra, utilizzato per le fucilazioni di massa.

È un pezzo di storia sociale di Agrigento, dimenticata, ed è l’ultima traccia degli orrori della malattia e delle tragedie dell’ultimo conflitto bellico. In tempi più recenti, proseguiti in un abbandono ignobile, il sindaco Calogero Sodano – bene facendo – ne diede l’affidamento in comodato d’uso alla sezione locale di Italia Nostra, che la ripulì, manutenendola con la massima cura, nel solco degli interessi più ampi dell’associazione medesima. Pur tuttavia quell’affidamento venne meno, dopo qualche tempo, in favore di altre scelte che esclusero il luogo da forme di socializzazione culturale, e tutto tornò com’era: l’area, facilmente accessibile, si imputridì, un pastore – non si sa bene a quel titolo – la usò per lungo tempo per la transumanza delle pecore, e solo più di recente – nel dicembre 2019 – il bene è stato restituito al suo legittimo proprietario, il Comune di Agrigento. Un bene che è davvero tale, e che stavolta non deve tornare all’oblio e a più colpevoli forme di mortificazione, per fortuna anche impedite nel febbraio di quest’anno grazie all’intervento dell’ex assessore alla cultura Ernesta Musca, che ha avuto a cuore questo luogo recuperando il preziosissimo crocifisso ligneo policromo, che, tratto in salvo, è adesso custodito nella sede della Pinacoteca comunale, nelle condizioni di quarantena e in attesa di un restauro non più procrastinabile. È di pochi giorni fa la denuncia dello stato di abbandono del posto, con la richiesta di alcuni interventi celeri all’Amministrazione Comunale. A farla, è proprio Italia Nostra, soprattutto grazie all’impegno di due affermate professioniste di Agrigento, gli avvocati Adele Falcetta (che ne presiede la sezione) ed Eva Di Betta, che testualmente “manifesta la piena disponibilità, qualora il Comune lo ritenga utile, a ricevere l’edificio in comodato per poterlo utilizzare per finalità culturali: infatti diverse iniziative possono essere realizzate sia all’interno della chiesetta che nell’area antistante”.

Un’ottima notizia, che non va trascurata quanto piuttosto tradotta in un atto concreto, in capo ad un’associazione meritevole e di fama nazionale, dopo la quale ho ritenuto opportuno di coinvolgere l’Accademia di Belle Arti chiedendo la disponibilità per il restauro del crocifisso. Ricevuto immediatamente l’assenso del professore Alfredo Prado, do anche per suo conto comunicazione ufficiale circa la volontà immediata di trasferire il crocifisso nei laboratori dell’Accademia a tutela delle azioni necessarie per salvarne il destino, ai fini di una successiva ricollocazione pubblica. Mi auguro – e anzi ne sono certo – che il sindaco Francesco Miccichè consideri favorevolmente l’idea di un affidamento della chiesa a Italia Nostra, nella forma di un comodato gratuito, e per questo auspico un incontro che coinvolga con l’associazione anche l’Accademia di Belle Arti e chi conosce le vicende pregresse del luogo, risolvendo un’incuria che si trascina da decenni e consentendo agli agrigentini, che, come me, amano questi luoghi, di poterli visitare in un’idea felice, come felice è la bellezza.

Beniamino Biondi