Processo antimafia “Icaro”, ecco le motivazioni della sentenza
Rese note le motivazioni della sentenza del processo scaturito dopo l’operazione antimafia denominata “Icaro” condotta dagli agenti della Squadra Mobile di Palermo e Agrigento che avevano operato in due “operazioni”.
Come si ricorderà, i reati contestati agli indagati andavano dall’associazione di stampo mafioso, al riciclaggio, alle estorsioni, alla ricettazione e detenzione illegale di armi da fuoco e munizioni. L’operazione aveva portato agli arresti di numerosi soggetti avvenuti nei territori di Montevago, Cattolica Eraclea, Santa Margherita Belice, Cianciana, Ribera, Porto Empedocle, Agrigento, Montallegro e Favara.
Il gup del Tribunale di Palermo, Roberto Riggio, ha depositato le motivazioni della sentenza che ha riguardato ventidue soggetti.
Nella fattispecie sono stati condannati Tommaso Baroncelli alla pena di anni 8 e mesi 8 di reclusione; Pietro Campo alla pena complessiva di anni quattordici di reclusione; Francesco Capizzi alla pena di anni dieci di reclusione; Mauro Capizzi alla pena di anni dieci e mesi otto di reclusione; Rocco D’Aloisio alla pena di anni dieci di reclusione; Diego Grassadonia alla pena di anni dieci di reclusione; Antonino Iacono alla pena di complessiva di anni quattordici e mesi otto di reclusione; Santo Interrante alla pena di anni dieci di reclusione; Giacomo La Sala alla pena di anni dieci e mesi quattro di reclusione; Francesco Messina alla pena di anni quattordici e mesi otto di reclusione; Emanuele Riggio alla pena di tre anni e quattro mesi e una multa di 500 euro; Francesco Tarantino alla pena di dieci anni di reclusione.
Nelle motivazioni, si legge che “nei confronti di quasi tutti gli imputati di questo processo (gli unici
esclusi sono CUCINA e RIGGIO) è stata formulata l’accusa di appartenere alla associazione mafiosa denominata Cosa Nostra, nella qualità di associati a diverse famiglie della provincia di Agrigento”.
Il Gup del Tribunale di Palermo scrive altresì che “Come può ben evincersi dai numerosi atti, l’attività di indagine – denominata “Icaro” – si è sviluppata su una parte del territorio della Provincia di Agrigento ed ha avuto quale punto di partenza una attività di intercettazione e monitoraggio di tre soggetti (già condannati per aver fatto parte e diretto le locali famiglie mafiose) e cioè Pietro Campo, Antonino Iacono e Francesco Messina.
La attività di indagine si è concentrata nella individuazione dei vertici e degli appartenenti delle famiglie mafiose di Santa Margherita Belice, Montallegro, Agrigento e Porto Empedocle. Come sarà analizzato nel prosieguo, la continua attività di intercettazione, ha messo in luce sia la lotta per la guida della famiglia mafiosa di Montallegro, sia il possesso e la disponibilità di armi in capo a diversi imputati nonché la progettazione di richieste estorsive a carico di diversi imprenditori impegnati in lavori nel territorio di “competenza” delle singole famiglie mafiose.
Un primo filone di indagine si è sviluppato con riferimento alle famiglie mafiose della parte occidentale interna della provincia di Agrigento (Santa Margherita Belice, Montallegro, Cianciana ecc.) e alla figura dì
Pietro Campo, soggetto già condannato perché facente parte della famiglia mafiosa di Santa Margherita Belice. E’ emerso infatti come il Campo, scarcerato il 22.06.2005,- abbia avuto dei contatti con Leo Sutera, considerato il “capo-provincia” dì Agrigento, e poi dopo che questi è stato sottoposto a misura cautelare in carcere (e poi condannato nell’ambito del proc. Nuova Cupola), ne ha raccolto l’eredità per un breve periodo. Come si avrà modo di puntualizzare nel prosieguo è, infatti, emerso come lo stesso sia stato chiamato a dirimere la vicenda dì Montallegro (e cioè la disputa tra due cugini, Vincenzo Marrella (cl 55) e Stefano Marrella su chi dovesse stare a capo della locale famiglia mafiosa) a decidere altre questioni relative a vicende criminose ed ha intrattenuto rapporti con diversi soggetti appartenenti alla consorteria mafiosa sia della provincia di Agrigento che di altre provincie.
Un secondo filone di indagine è invece relativo al territorio di Agrigento-Porto Empedocle ed ha messo in evidenzia le figure di Antonino Iacono (‘Ninu u Giardinisi’) e Francesco Messina, soggetti già condannati in quanto appartenenti con posizioni di rilievo nell’ambito delle locali famiglie mafiose.
Sottoponendo entrambi ad attività di intercettazione è infatti emerso in maniera inequivocabile come gli stessi, dall’estate del 2012, pianificassero le estorsioni a carico dei vari imprenditori impegnati in lavori della zona, e come Iacono, oltre a esser a capo della famiglia mafiosa di Agrigento, a partire dall’inizio dell’estate del 2013 sia stato chiamato a dirimere questioni esterne al suo territorio (tra le quali veniva anche interpellato nella vicenda Montallegro).
Se queste sono le figure centrali, nella presente indagine è emerso come gli altri imputati siano stati in contatto ed abbiano ruotato attorno agli stessi: tuttavia mentre, come sarà analiticamente sviluppato, in relazione ad alcuni, in ragione delle condotte accertate, può, ad avviso del giudicante, ritenersi raggiunta la prova di quei facta concludentia dai quali può desumersi la appartenenza alla consorteria mafiosa, per altri, pur emersi dei contatti e dei vincoli familiari, può solo desumersi una posizione di “vicinanza” e / o contiguità non idonea a fondare un giudizio di responsabilità”.