Arte e bellezza sono contagiose diceva. Ezio Bosso, il direttore d’orchestra, compositore e pianista torinese soffriva di una malattia neurodegenerativa da anni ma non si era mai fermato.
A portarselo via il cancro con cui conviveva da molti anni e che lo costringeva a lunghi periodi di sosta per le terapie. Ad acuire il quadro clinico la malattia neurodegenerativa che l’aveva costretto in carrozzella. Eppure, nonostante tutti questi mali, Ezio non si è mai arreso. Ha continuato a combattere fino alla fine con il coraggio di un leone. Poi la quarantena imposta dal virus gli è stata fatale.
La musica, la sua passione più grande, la sua ragione di vita, l’aveva anzi spinto a sfide sempre più grandi. A trasformare ogni sconfitta del corpo in una rinascita dello spirito.
Ezio Bosso era una persona molto speciale. Intelligentissima, sensibile, sapeva trasmettere la passione per la musica e per la vita. Se n’è andato a 48 anni, e lascia un grande vuoto.
“La musica ci cambia la vita e ci salva. La bacchetta mi aiuta a mascherare il dolore e non è una cosa da poco”.
Aveva un entusiasmo contagioso.
Era diventato popolarissimo quando nel 2016 fu invitato da Carlo Conti come ospite d’onore al Festival di Sanremo. Sul palco dell’Ariston Bosso eseguì Following a bird, composizione contenuta nell’album The 12th Room, che dopo quell’esibizione, applauditissima, finì subito in classifica. “Sul palco sono senza spartito, faccio tutto a memoria. Quando dirigo è come se avessi tutti i suoni scritto, primi e secondi violini, violoncelli, bassi, flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni, trombe, tromboni, percussioni, io li ho davanti, per me è un contatto visivo, dirigere con gli occhi, con i sorrisi, mando anche baci quando qualcuno ha fatto bene”.
Spiegava come fosse stato difficile essere accettato nel mondo della musica classica e dei pregiudizi “perché guardavano la malattia: è evidente, non è che posso negarlo. Ho combattuto il pregiudizio. Fin da bambino ho lottato col fatto che un povero non può fare il direttore d’orchestra, perché il figlio di un operaio deve fare l’operaio, così è stato detto a mio padre”. Lo studio come riscatto, la passione che lo guida e gli fa vincere anche il dolore. “Ho avuto paura anche delle ‘mazzate’ che mi sono preso, ho preso schiaffoni perché sono una persona normale. Il nostro entusiasmo, la nostra voglia di fare, però, alla fine, diventa un contagio. Mi auguro una pandemia di voglia di fare. Dirigere la Patetica è una delle direzioni più difficili che esistono.
Credere nella musica non è unicamente un processo di allegria ma è un processo faticoso che, a volte, ti consuma. Lasciarsi guidare dalla musica è anche un gesto di umiltà, riconosci la grandezza dell’altro e diventi grande insieme a lui”.
Bosso parlava davvero a tutti, ci faceva emozionare, arrivava dritto al cuore. Tra gli eventi che lo hanno visto grande protagonista, Grazie Claudio, l’omaggio a Claudio Abbado. Fu lui a dirigere il concerto evento di Mozart14 per i cinque anni dalla scomparsa del maestro. Bosso mise insieme cinquanta musicisti delle migliori orchestre del mondo per unirsi all’European Union Youth Orchestra e agli amici della Europa Philharmonic Orchestra fondata da lui stesso. Nella sua vita, piena, diceva che gli mancavano ” i viaggi lunghi che facevo una volta”, ma non aveva paura. “Le paure servono. Non è utile scacciarle. Ho paura che la paura un giorno mi paralizzi. Questo sì. Ma non vale solo per me. Mi spaventa che possa accadere a chiunque”. Era rigoroso ma anche ironico. “Potrei mai prendermi sul serio? Io sono già così, come mi vedete. Se facessi il tronfio, sai che noia. Solo la musica merita tutto l’impegno. Gli esempi veri non si vedono quasi mai. Ho messo in pubblico le mie mani e la mia faccia, così come ascolto le storie degli altri, ogni tanto provo a raccontare un pezzetto della mia. Sono un essere umano, uno solo, se vi girate a guardare ne trovate tanti.
“Essere leggeri, prendersi in giro”, osservava Bosso “è una cosa seria. Se non ci si prende in giro, non si può essere seri. “
Aveva in mente molti progetti, stava pensando a nuovi modi di fare musica nel rispetto delle distanze. La voglia più grande era sentire il calore di un abbraccio. Abbracciare gli amici, i suoi musicisti. Magari un albero. Sentire la forza di un affetto che passa da un essere vivente all’altro tramite le braccia. Anche quando sono esili e dolenti come le sue. E continuava a dire:
“Cambieremo il mondo con la musica e la bellezza “. Lui l’ha cambiato, l’ha reso davvero più bello.
In foto
Ezio Bosso (Torino, 13 settembre 1971 – Bologna, 15 maggio 2020) è stato un direttore d’orchestra, compositore e pianista italiano.
Elisa Carlisi