Migliora la salute degli italiani ma al sud…
L’Italia è un paese in salute! E’ quanto emerge da un indagine condotta dall’Istat. Nel nostro Paese, il generale miglioramento delle condizioni di salute della popolazione negli ultimi decenni è testimoniato dall’aumento della longevità.
Si stima che nel 2014 la speranza di vita sia pari a 84,9 anni per le donne e 80,2 anni 207 per gli uomini, con un guadagno, rispetto al 2000, di due anni per le donne e tre per gli uomini. Da questa indagine emergono altresì le diseguaglianze territoriali e socio-economiche nella salute, che mostrano ancora uno svantaggio per chi ha una posizione sociale più fragile, soprattutto se risiede nelle aree del Mezzogiorno.
La quota di persone in cattive condizioni di salute oggettiva, vale a dire che riferiscono di avere limitazioni funzionali, patologie croniche gravi o invalidità permanenti, a parità di età, è del 17,7 per cento nel Centro-nord e del 20 per cento nel Mezzogiorno.
“Le differenze geografiche – riferisce l’Istat – sono ancora più’ accentuate se si considera la popolazione anziana: al Nord la quota si attesta al 49,9 per cento e nel Mezzogiorno raggiunge il 58,2 per cento. Analoghe differenze emergono per la salute percepita e la salute mentale. La geografia delle condizioni di salute, letta mediante i gruppi che tengono conto della struttura socio-demografica del territorio, conferma complessivamente lo svantaggio del Mezzogiorno“.
Per le condizioni di salute oggettiva della popolazione di 25 anni e più, a parità di età e dei principali determinanti della salute, il rischio di cattiva salute per chi risiede nei centri urbani meridionali, nelle aree del Mezzogiorno interno e nell’altro Sud è lievemente più elevato rispetto a chi risiede nelle città del Centro-nord. La geografia della salute percepita dai cittadini evidenzia ancor più lo svantaggio delle aree del Mezzogiorno e, tra di esse, emerge nettamente una situazione peggiore nei centri urbani meridionali, dove il rischio di cattive condizioni di salute è del 50 per cento superiore rispetto alle città del Centro-nord.
La situazione migliore si osserva invece nella città diffusa.
Tra gli anziani il rischio di cattive condizioni oggettive di salute è di circa un terzo superiore per quelli residenti nei centri urbani meridionali e nei territori del disagio rispetto a quanti vivono nelle città del Centro-nord. Lo svantaggio si conferma anche rispetto alla percezione della salute e dello stato mentale nei centri urbani meridionali (rispettivamente +87 e +53 per cento) e nei territori del disagio (rispettivamente +67 e +51 per cento). Al Centro-nord risorse economiche scarse incidono di più sulle cattive condizioni di salute. Nelle città del Centro-nord e nella città diffusa il rischio di cattiva salute oggettiva tra chi ha risorse economiche scarse aumenta di circa il 30 per cento. Nelle aree territoriali del Sud, la condizione economica, pur restando un fattore di rischio significativo, ha un effetto minore e raggiunge al massimo un incremento del 19 per cento. Nei centri urbani meridionali e nei territori del disagio chi vive da solo ha i maggiori svantaggi per la salute.
Le persone che vivono sole sperimentano un rischio di cattive condizioni oggettive di salute superiore a quello delle persone che vivono in coppia con figli. L’effetto è più pronunciato nei centri urbani meridionali e nei territori del disagio (rispettivamente del 34 e del 29 per cento). Anche il titolo di studio influisce.
“Il titolo di studio elevato è un vantaggio soprattutto nel Mezzogiorno. Il titolo di studio, proxy del livello sociale di appartenenza, è una determinante importante della salute, ma tale fattore ha un effetto superiore nei centri urbani meridionali e nel Mezzogiorno interno, dove il rischio di cattive condizioni oggettive di salute, per chi ha un titolo di studio basso, aumenta di circa il 70 per cento rispetto a chi ha un livello di istruzione più alto. Per quanto riguarda la salute mentale, il titolo di studio ha maggiore effetto nelle aree dell’altro Sud dove chi ha conseguito la licenza elementare sperimenta un rischio del 60 per cento superiore”, riferisce l’Istat.
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