E’ questo il quadro che emerge per la provincia di Agrigento nell’ultima relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia presentata dal Ministero dell’Interno al Parlamento, che prende in esame il periodo Gennaio-Giugno 2017.
Un lavoro meticoloso che ha visto protagonista anche la Dia di Agrigento, diretta dal comandante Roberto Cilona, che durante questi anni si è occupata, e continua ad occuparsi incessantemente, del contrasto del fenomeno mafioso in tutti i suoi aspetti, compresi quelli di analisi e di previsione degli andamenti del fenomeno stesso.
“Da un punto di vista operativo – si legge nell’ultima relazione –, l’articolazione agrigentina, in diretto collegamento con le consorterie palermitane, trapanesi e nissene, risulta quella maggiormente ancorata alle regole mafiose tradizionali, tanto da rendersi difficilmente permeabile dall’esterno. Proprio la vicinanza con la provincia trapanese, e la saldatura tra componenti locali e soggetti contigui al latitante Matteo Messina Denaro, concorrono a rendere fluida la generale situazione di governance. A ciò, si aggiunga la continua fase di riassetto degli equilibri mafiosi interni della provincia, quale conseguenza dei numerosi arresti, nonché dei decessi e delle scarcerazioni di uomini d’onore. Ad ogni modo, le più recenti evidenze info-investigative, confermano un’articolazione territoriale di cosa nostra basata su 7 mandamenti e 41 famiglie“.
“Si continua, inoltre, a registrare, sebbene con ruoli marginali, la presenza di organizzazioni stiddare – non più in conflitto con le famiglie di cosa nostra – nei comuni di Bivona, Camastra, Campobello di Licata, Canicattì, Naro, Palma di Montechiaro, Favara e Porto Empedocle. In tale contesto, le consorterie mafiose, approfittando della tradizionale scarsa presenza di iniziative produttive, della perdurante crisi economica e della conseguente diffusa situazione di disagio sociale, trovano l’humus ideale per reclutare manovalanza criminale e per depauperare, allo stesso tempo, il tessuto produttivo sano“.
“Cosa nostra agrigentina ha dimostrato, infatti, in più occasioni, di saper lucrare, oltre che sulle opere pubbliche, anche sulla filiera agroalimentare, sulle fonti energetiche alternative, sullo stato di emergenza ambientale e sui finanziamenti pubblici alle imprese, reinvestendo sovente i capitali illecitamente accumulati nelle strutture ricettive locali, attraverso prestanome e intermediari compiacenti. Tale circolo vizioso lascia spazio, comunque, alla possibilità di intessere relazioni criminali strutturate anche oltre l’ambito provinciale, finanche – come più avanti si dirà – all’estero“.
“Un segnale di questa “larga prospettiva” dell’imprenditoria criminale agrigentina e dalla capacità di relazionarsi anche con le cosche calabresi, viene dall’operazione “Cumbertazione–5 Lustri”, diretta dalla DDA di Reggio Calabria. L’indagine, conclusa nel mese di gennaio, ha fatto luce su un cartello di imprese, gestito e coordinato da un sodalizio ‘ndranghetista del circondario di Gioia Tauro (RC), il quale riusciva a orientare in proprio favore – con la stabile cooperazione di imprenditori siciliani, laziali, toscani e campani – numerose commesse pubbliche, bandite dal Comune di Gioia Tauro (RC), da altre amministrazioni calabresi e dall’ANAS. Tra i 35 indagati figurano quattro imprenditori della provincia di Agrigento, mentre tra le 54 ditte sequestrate compaiono due società agrigentine, cui se ne aggiungono tre rispettivamente della provincia palermitana, messinese e ragusana. Nel dettaglio, i predetti imprenditori mettevano a disposizione della consorteria mafiosa la propria impresa, con i relativi requisiti economici e tecnici, al fine di turbare le gare di appalto. A titolo di compenso per il “servizio” prestato, veniva loro corrisposto il 2,5% dell’importo a base d’asta (al netto del ribasso), rimanendo poi costantemente a disposizione dell’organizzazione. A riprova di questa sinergia con la ‘ndrangheta, si segnala come il successivo mese di giugno, l’Arma dei Carabinieri abbia tratto in arresto 19 persone nell’ambito dell’operazione denominata “Proelio”, responsabili di aver creato, promosso e diretto, un’associazione finalizzata al traffico di droga“.
“In particolare – continua la relazione semestrale della DIA –, gli indagati di origine calabrese, affiliati alle organizzazioni criminali operanti nella piana di Gioia Tauro (RC), rifornivano di ingenti quantitativi di cocaina gli indagati siciliani, che la rivendevano al dettaglio con la complicità di esponenti di spicco della famiglia Fragapane, espressione di cosa nostra agrigentina. Quest’ultima è risultata in affari anche con l’espressione mafiosa di Vittoria (RG). Anche nella provincia in esame l’estorsione – preceduta e supportata da intimidazioni, minacce e danneggiamenti – resta una delle leve dell’organizzazione per mantenere costante la pressione sul territorio. Un racket che colpisce gli imprenditori nei settori più diversi, quali quello dell’edilizia, dello smaltimento dei rifiuti, ma anche dei piccoli commercianti, realizzato con la riscossione del pizzo, con l’imposizione di manodopera o di slot machine all’interno degli esercizi commerciali“.
“Al pari delle altre province della Sicilia, come in parte accennato, anche in quest’area resta alto l’interesse delle consorterie mafiose per il traffico di sostanze stupefacenti, i cui profili – in linea di continuità con quanto evidenziato nella precedente Relazione semestrale – continuano ad avere importanti riflessi anche in Belgio. Nel semestre in trattazione si segnalano, infatti, un omicidio (in Belgio il 3 maggio 2017) e due tentati omicidi (uno in Belgio il 28 aprile 2017 e l’altro a Favara il 24 maggio 2017) consumati nei confronti di tre soggetti originari della provincia di Agrigento. Tali gravi episodi delittuosi sembrano essere collegati ad altrettanti fatti di sangue (un omicidio ed un tentato omicidio in Belgio ed un omicidio a Favara) perpetrati nel precedente semestre nei confronti di soggetti originari provincia, e confermerebbero l’esistenza di una faida agrigentina sull’asse Belgio–Agrigento, come detto, connessa al traffico di stupefacenti. Riflessi sul territorio potrebbero derivare anche da un’altra faida in corso, interna alla famiglia mafiosa operante in Canada, nella provincia del Quebec, in conseguenza della quale alcuni accoliti del clan Rizzuto potrebbero lasciare quel Paese per rifugiarsi nei territori di origine“.
“Il panorama criminale della provincia si compone anche di gruppi criminali stranieri, in particolare rumeni e nordafricani, la cui presenza sarebbe tollerata da cosa nostra, perché rivolta a settori illeciti di basso profilo, come il lavoro nero nel settore della pesca e dell’agricoltura, lo sfruttamento della prostituzione e lo spaccio di droga“, conclude la relazione Dia.