Cattedrale e Università, l’Amico del Popolo scrive a Musumeci e Armao
Riportiamo il testo della lettera aperta, indirizzata al presidente della regione siciliana, Nello Musumeci e al suo vice, Gaetano Armao, a firma del direttore del settimanale L’Amico del Popolo, Carmelo Petrone e di Giuseppe Riccobene, pubblicata sul numero 38/2017 del 19 novembre 2017 del Settimanale cattolico agrigentino “L’Amico del Popolo”.“Caro Nello, caro Gaetano,
il 5 novembre scorso, i siciliani vi hanno indicati quali presidente e vicepresidente della Regione, attribuendovi grande onore e ponendo a vostro carico responsabilità amministrative altrettanto enormi.
Con questa lettera aperta non vogliamo soffermarci su un’analisi del voto (e del non voto) che lasciamo ad altri, ma condividere con voi – scusateci lo stile schietto e diretto – due temi che ci stanno particolarmente a cuore.
Nel far questo pensiamo di interpretare i sentimenti di tanti altri cittadini/e della provincia e città di Agrigento.
È grande la preoccupazione per le sorti del Colle di Agrigento, delle famiglie, delle attività commerciali e delle infrastrutture circostanti e quindi della Cattedrale sul quale sorge, insieme ad altri monumenti di interesse storico artistico (il Seminario, il Collegio dei Santi Agostino e Tommaso, il Palazzo Vescovile, la Biblioteca Lucchesiana, la Chiesa S. Alfonso e i resti del Castello Arabo).
Negli ultimi quindici anni, il rischio potenziale – di per sé molto elevato – è stato aggravato a dismisura da una somma di fattori esterni gravi e deleteri, che nulla hanno a che fare con la geologia: disattenzione, mediocrità, sciatteria, burocratismo, inefficacia di quegli organismi politico-amministrativi regionali e nazionali che, tuttavia, non hanno mai lesinato tempo per passerelle, foto e interviste in cui si è descritta la soluzione come “a un passo dall’essere raggiunta”.
Sappiamo tutti com’è andata, quale sia la drammaticità della situazione che non deve più consentire, a nessuno, di perdere un solo minuto di tempo.
Gli studi ci sono, documentati e coerenti, e a questo punto le ipotesi progettuali possono diventare esecutive ed essere realizzate, come in un qualsiasi posto normale. Ecco, a quel punto i cortei di auto blu sulla via Duomo avrebbero finalmente un senso compiuto, perché ognuno capisce – persino noi – che l’uomo politico ha tutto il diritto di rivendicare i propri successi. Sul colle di Agrigento, purtroppo, è avvenuto l’esatto contrario: la serietà non ci ha accompagnato, abbiamo assistito a rivendicazioni di risultati mai conseguiti, neppure da lontano.
E se sulla via Duomo ci si raccoglie in preghiera, temendo per l’incolumità di persone e monumenti, in contrada Calcarelle si sta già celebrando un funerale. Il diritto allo studio, il Polo Universitario, le facoltà di Architettura, Giurisprudenza, Beni Culturali, Archeologia, insieme a tanti anni di impegno di una classe politica e amministrativa che un quarto di secolo fa, funzionando all’unisono, riuscì a creare un vero e proprio gioiello, oggi non esistono più. Sono stati smantellati, pezzo per pezzo, secondo un disegno o, come si suole dire, secondo un non-disegno: chi non è tenero sostiene che si è affidata un’auto bella, nuova e potente, a chi non ha saputo guidarla. Un Polo Universitario che era e forse potrebbe essere ancora ricchezza – sia sul piano culturale, sia su quello socio-economico – per una comunità che è stata sin troppo marginalizzata sotto tali punti di vista, oggi è il fantasma di se stesso.
L’università agrigentina rappresenta (e potrebbe ancora rappresentare) riscatto sociale, qualità della vita, aspirazione a produrre qualcosa di buono senza necessariamente andare via dalla propria terra, come purtroppo sempre più accade in una comunità che, giorno per giorno, sta perdendo tanti suoi figli e figlie, forse quelli migliori. Senza dimenticare chi non ha avuto e non avrebbe le risorse economiche per andare a studiare fuori. Le più recenti “scelte” in materia di università hanno tranciato le gambe agli ultimi. Danni collaterali del non-disegno?
Cari Nello e Gaetano, salvate la Cattedrale, o almeno provateci seriamente, approvando nei primi cento giorni tempi e finanziamenti certi per i progetti di messa in sicurezza definitiva del colle e delle fabbriche. E salvate anche l’Università, favorendo la rimessa a regime di tutte le facoltà sospese da UniPa per mancanza di fondi, ma soprattutto di programmazione seria e di vero dialogo.
Mettete da parte – non per cento giorni, ma per almeno quattro anni – i toni da campagna elettorale, rimboccatevi le maniche.
Assumetevi oneri e onori delle vostre posizioni e delle vostre decisioni, ma non restate immobili di fronte ai disastri annunciati.
E poi, se volete, tornate qui, tra uno o tra cinque anni, a raccontarci cos’avete fatto, non cosa starete per fare.
Vi ringraziamo dell’attenzione. Cordiali saluti e buon lavoro“.
Carmelo Petrone e Giuseppe Riccobene