Si tratta di una produzione firmata “Centro Teatrale Bresciano”, “Teatro De Gli Incamminati” e “Piccolo Teatro” di Milano, nella versione riallestita da Daniele Salvo: un ricordo del grande maestro Ronconi, scomparso nel 2015, la cui opera rivive, appunto, nell’interpretazione magistrale dall’attore Franco Branciaroli nei panni femminili di Medea.
In questa intervista esclusiva, Branciaroli ci parla dello spettacolo, ma, soprattutto, del suo rapporto con il pubblico agrigentino che: “Conosce quella forma di conoscenza chiamata teatro”, sottolineando, inoltre, che: “Conoscere Pirandello favorisce la formazione di spettatori teatrali”.
Il maestro, poi, parla della sua ammirazione per il drammaturgo agrigentino: “Con Pirandello mi trovo molto bene” (scherza compiaciuto). Infine, ci confida un desiderio: dirigere, dopo “Enrico IV”, un’altra opera pirandellina: “Il mio sogno – afferma – è quello di fare “I giganti della montagna”.
Al noto attore e regista milanese, che torna al Teatro Pirandello di Agrigento dopo il successo dello scorso anno con “Macbeth”, abbiamo chiesto:
-Il riallestimento di “Medea” è un omaggio a Ronconi?
“Non solo questo! Non so neanche se Ronconi sarebbe stato d’accordo nel riprendere una sua regia; probabilmente no! È da vent’anni che lo spettacolo è stato realizzato ed è un’occasione imperdibile per rivedere una delle pietre miliari della storia registica ed interpretativa del secondo Novecento. Credo sia uno spettacolo che avrà ancora molto da dire. E’ stato ripreso per una questione di maggiore chiarezza verso il teatro stesso, in un momento in cui il teatro sta attraversando un periodo molto basso. Mostrare uno spettacolo di Ronconi è importante in questo panorama teatrale nazionale.”
– Chi è Medea?
“La regia cerca di non essere monotematica sul fatto che Medea è la protofemminista, la donna gelosa per antonomasia. Medea è una divinità minacciosa che entra in scena con le mani grondanti di sangue perchè ha ammazzato il fratello. Medea è un’ entità pericolosa ed ingannatrice, rappresenta la ferocia della forza distruttrice. Medea conquista il Re di Atene, Egeo, e lo sposerà. Ciò significa, per gli ateniesi, che questo essere minaccioso arriverà nella loro città. E non credo che questo sia il massimo per gli ateniesi, dopo avere visto quello che aveva combinato a Corinto (sorride). Il personaggio si svela solo alla fine quando appare sul carro del Sole con i cadaveri dei figli e si vedrà una figura vestita di bianco, immacolata e con una maschera d’oro; un altro enigma da svelare. I miti vengono sviluppati in tanti modi in Euripide che in Medea sottolinea l’aspetto misterioso ed inafferrabile di questo, diciamo, personaggio. Lei, che proviene dalla Colchide, è una straniera, una barbara non rispettosa della religione olimpica. Suo padre, infatti, adorava il Sole, la Terra , le divinità ancestrali. Come, ad esempio, una divinità matriarcale chiamata la Dea Bianca. Per Medea, infatti, l’asse principale non è: padre – figlio, ma madre -figlio. Lei, infatti, si comporta verso i suoi figli più come un padre che come una madre; è non è un conflitto da poco. Una caratteristica maschile tipica di Medea è che il marito se lo è scelto lei. Cosa molto rara nel mondo Greco.”
-Possiamo attualizzare il messaggio di Euripide?
“Non credo. Il nostro è un tempo lineare, escatologico. Noi cristiani abbiamo il senso della speranza nel futuro e la fiducia nel progresso. Il tempo greco era ciclico e non esisteva il concetto di progresso. Questa è l’ enorme differenza tra noi e loro. Ed è per questo che è molto difficile comprenderli in fondo. Fare uno spettacolo in cui si mette in evidenza questa impossibilità di comprensione è una rappresentazione più corretta rispetto ad un tentativo registico di portare i greci nell’attualità.”
-Lei interpreta un ruolo femminile. Come si è trovato?
“Io non interpreto una donna, sono nei panni di un uomo che recita una parte femminile: è molto diverso. Medea è un mito. Medea usa la femminilità come una maschera perché deve portare dalla sua parte tutto il coro delle donne di Corinto.”
-Il suo rapporto con Pirandello?
“Nella mia carriera, piuttosto lunga, di Pirandello ho fatto solo “Enrico IV”. Con il drammaturgo agrigentino, mi ci trovo molto bene. Il mio sogno è quello di fare “I giganti della montagna”. Ho una strana sintonia con i testi appena citati e con “Sei personaggi in cerca d’autore”, con gli atri un po’ meno. Sono sicuro che se io potessi fare “I giganti della montagna” ne verrebbe fuori un lavoro molto interessante.”
-Medea potrebbe essere un personaggio piradelliano?
“Assolutamente no! Se lei, però, toglie i cori e concentra tutto sull’aspetto della gelosia, allora l’opera potrebbe diventare un dramma siciliano.”
– Gli spettatori del Teatro Pirandello hanno giudicato il suo “Macbeth” come lo spettacolo più interessante della scorsa stagione. La rende orgoglioso?
“Il pubblico agrigentino mi ha sorpreso positivamente. Evidentemente è un pubblico abituato al teatro, non estraneo, cioè, ad una forma teatrale innovativa. Molti agrigentini conoscono bene Pirandello. Conoscere il drammaturgo significa conoscere il teatro; conoscere, cioè, quella forma di conoscenza chiamata teatro. Avere in sala un pubblico che conosce questa forma di conoscenza, permette di gustare un Macbeth privo di trovate registiche esplicative. Gli agrigentini sono un pubblico colto che si soddisfa con la semplice parolatura. Macbeth, infatti, è uno spettacolo di pura parola, la scena era una scatola senza musiche e trovate registiche. Tutto questo va ad onore del pubblico di Agrigento. Il fatto di conoscere Pirandello favorisce la formazione di spettatori teatrali.”
Salutiamo Franco Branciaroli e ci ripromettiamo, però, di stringerci la mano nel camerino del “Pirandello” alla fine dello spettacolo. Gli faccio, infine, una battuta finale sul suo antico fascino, icona del cinema erotico nazionale; il maestro scherza: “Sono vecchio, ho settant’anni, l’immagine erotica è andata a farsi benedire”, e ci saluta sorridendo.
Luigi Mula