Agrigento, Venerdì Santo: la riflessione del cardinale Francesco Montenegro
Questa la riflessione del Cardinale Francesco Montenegro in occasione della processione notturna del Venerdì Santo:
“Gesù, siamo nel cuore della notte e, ancora una volta, proviamo a stare con Te, a fare nostra la Tua vicenda e i Tuoi desideri. Siamo qui, a far corona alla Tua mamma, desiderosi di apprendere da Lei amore e fede.
“Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28), che tristissima condizione è quella di una madre che perde un figlio! La nostra ragione, lo sai, si rifiuta perfino di pensarlo: se una donna perde il marito la definiamo vedova, se perde i genitori in tenera età orfana, ma se perde il figlio andiamo in tilt, i dizionari tacciono e non sappiamo come definirla. Stanotte, Signore, voglio affidarti tutte le mamme e i papà che per cause diverse – in primo luogo per i numerosissimi incidenti stradali, poi per lavoro, malattie, droga, violenza… – hanno perso una figlia o un fi-glio. Non è facile trovare parole giuste in queste situazioni perché la morte, ogni morte, so-prattutto quella di un figlio, chiede silenzio, compassione solidale e prossimità. Tu, Signore, taci, avvolto nel dolore e nella morte. Il tuo silenzio è Parola.
Pensando all’incontro di stasera mi sono venuti in mente alcuni personaggi del Vangelo. Il primo è Bartimeo con la sua ostinata capacità ad andare controcorrente, nonostante tutto. Nel Vangelo è scritto: “Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte” (Mc 10, 48). Cieco sì, ma non immobile. Questa mia città, Signore, ha bisogno dello stesso dinamismo di Bartimeo. Ho l’impressione che noi agrigentini siamo malati di accidia che è l’opposto dell’operosità; accidia che non raramente è mista a noia, indifferenza e in-sofferenza; accidia che si annida prima in noi cittadini che siamo e abitiamo la città, che nel-le istituzioni. Facci capire, Signore, che tale atteggiamento, quando si unisce all’omertosità, rischia di diventare cancrena sino a diventare metastasi, tendenza cioè a tacere per paura di doversi mettere in gioco. Ci si aspetta tutto dagli altri, e si pensa di aver fatto il proprio dovere solo perché al bar, sorseggiando un caffè, si è discusso con gli amici delle cose che nella città non funzionano. Senza però chiedersi cosa ognuno sta facendo per migliorarla. Agrigento per essere “viva” ha bisogno di ciascuno di noi e di tutti insieme! Noi siamo il pre-sente e il futuro di Agrigento! Nel frattempo, mentre gli onesti tacciono, si scivola nella de-solazione e ogni sforzo per la costruzione del bene comune va vanificandosi. Aveva ragione Martin Luther King a dire: “Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli one-sti”, pensiero poi condiviso da don Pino Puglisi e da Rosario Livatino.
Di Zaccheo, in quest’anno giubilare dedicato alla Misericordia, mi sbalordisce la capacità di tenere aperta la porta della coscienza. Illuminato dallo sguardo e dalle parole di Gesù ri-conosce il male e si riconosce peccatore. È un peccatore, direbbe Papa Francesco, ma non un corrotto. Anche in questo territorio, Signore, la corruzione è presente. Di tanto in tanto questa emerge, grazie al lavoro degli inquirenti e della Procura, ma la sua base, fondata sul-la filosofia del “stupido chi non approfitta” e dall’ambizione del potere, “costi quel che co-sti”, sembra più dura del granito.
Qui, come altrove, i corrotti approfittano della loro posizione e fanno scempio del bene comune. Tutti diciamo di essere contro la mafia, ma sono tanti gli atteggiamenti mafiosi. È diventato un modo di vivere, di cui neppure ci si accorge.
Signore, se è vero che il male serpeggia è pur vero che il bene non manca. Penso ai tanti volti dei volontari che hanno cura delle donne, degli uomini e del territorio. Essi, con la loro dedizione e le loro opere, come Maria di Betania, profumano i corpi feriti dei poveri Cristo e sono attenti anche al nostro paesaggio, anch’esso ferito. Mi chiedo, cosa può, per esempio, il volontariato a fronte di una sanità pubblica che va assottigliando le sue prestazioni, allun-gando i tempi di attesa delle visite ambulatoriali, risparmiando sul materiale sanitario e massacrando con riduzioni di organico medici, tecnici e infermieri?
Questo gioco centrato quasi esclusivamente sul rapporto costi-benefici e sull’ossessivo taglio della spesa sociale, finisce per ridurre a numero quanto invece per te è sacro: l’uomo, soprattutto il povero. A queste deficienze strutturali si aggiunge la nostra situazione viaria che complica tutto aumentando i tempi e i costi del soccorso e della percorrenza. Se penso al collegamento con Lampedusa e Linosa mi viene la pelle d’oca. La situazione viaria si ri-percuote pesantemente anche sul commercio e sul turismo.
A volte andare per le nostre strade sembra di inerpicarci con Te sulla mulattiera che con-duceva al Golgota.
Che i contadini, come i pescatori e i carpentieri ti siano stati simpatici non è un mistero. Sei stato uno di loro. La fatica e la crisi del lavoro e dell’occupazione non ti è stata estranea.
Signore, fa’ capire a chi di dovere che la disoccupazione di donne e uomini, di giovani e adulti, non solo è sostentamento che viene a mancare, ma è anche – e questo non vale me-no – uno scippo di dignità. È una delle piaghe più profonde di questa splendida terra che va spopolandosi, invecchiando, incupendosi fino a caricarsi di tristezza, nonostante il calore, e le tinte forti e tenui dei suoi colori.
Simone l’agricoltore, inteso come il cireneo, colui che ti ha aiutato a portare la croce, lo immagino capofila dei nostri agricoltori, ma anche dei tanti artigiani che, colpiti dalla crisi pesante del settore, si vedono schiacciare da concorrenze, costi e regole che fanno scempio del loro lavoro e dei loro investimenti.
Mentre i produttori languono, continuano a moltiplicarsi, come al tempo di Amos, sfrutta-tori e fraudolenti (cf Am 8,4-6). Gesù, ti prego, non permettere che, nei diversi settori, ca-dano nel baratro della disoccupazione altre lavoratrici e lavoratori. Approfitto per chiederTi che finiscano i viaggi degli agrigentini, soprattutto giovani, che da questa terra, alla ricerca di lavoro, si dirigono in altre parti dell’ Italia e dell’Europa.
A Te, che sai cosa significa essere migrante, chiedo di non fare mancare loro il Tuo ab-braccio e la Tua carezza.
Penso in questo momento alla Veronica che ha pulito il Tuo volto rischiando la violenza dei soldati. Quella donna Ti ha fatto provare, confondendo le sue lacrime con le Tue, la te-nerezza della misericordia.
Le lacrime mi fanno pensare all’acqua e a proposito di acqua, Signore, sai che ne abbiamo appena celebrato la Giornata Mondiale (martedì, 22 marzo). Ho sentito dire che fi-no allo scorso anno, 750 milioni di persone nel mondo, erano prive di acqua potabile. Signo-re Gesù, Tu sai bene che l’acqua rischia di diventare un lusso di pochi. Anche qui, in questa terra. Sono preoccupato, come ho detto in altre occasioni, per la mia gente che, in questo momento di crisi economica, ha difficoltà ad assicurarsi l’uso di un bene che è di tutti, tanto da restarne priva se non ha la possibilità di pagare quanto dovuto. È possibile arrivare a tan-to? Ci dovrà pur essere un marchingegno che assicuri il necessario quotidiano a chi non ha denaro per pagare? Papa Francesco ci ha detto che non permettere ai poveri l’accesso all’acqua significa negare loro “il diritto alla vita radicato nella loro dignità”.
E a proposito di acqua, anche il nostro bel mare rischia di essere fortemente compromes-so per i colpevoli ritardi e le molte inadempienze circa il trattamento delle acque reflue. E poi, non riesco ad accettare che il mare, il nostro bel mare, venga violentato a causa del “profitto ad ogni costo” dalle multinazionali del petrolio che, vorrei sbagliarmi, dimostrano un’inspiegabile e interessata pigrizia o una grave lentezza e disinteresse nella ricerca e nell’uso delle fonti energetiche alternative, oltre che una colpevole indifferenza nei riguardi della nostra salute, di quella dei nostri ragazzi e del creato. Ma chi sa perché, di questo ar-gomento se ne sente parlare poco in giro – forse non si vuole che ciò avvenga? – né si viene spinti a farlo. È paura? È strategia? È non volere che si tocchino gli interessi dei potenti? Aiu-tami a capire, Signore.
Signore Gesù, infine, permettimi un’ultima cosa. Tu Ti nascondi tra la gente povera e perduta; nel rantolo sordo dei morenti (il pensiero va alle ragazze morte in Spagna e ai feriti e morti del Belgio); nel respiro soffocato dall’acqua di chi annega (cf. Sal 68) (qualcuno defi-nisce inspiegabilmente tutti i migranti terroristi, ma è possibile che tra loro non ci siano per-sone buone? Solo noi, che alziamo muri e reticolati, siamo buoni?).
Io, stanotte, non avrei voluto parlati di poveri, di profughi e di migranti, ma tu in questi tempi mi sei venuto pesantemente dinanzi nei volti esamini di più di mille bambini che, an-negati, pesano sulle nostre coscienze epulone. Per questo chiudo rivolgendoti, anche a no-me della mia gente, le parole che mi sono capitate sotto gli occhi: Gesù, “non abbiamo nu-trito la tua speranza, non abbiamo nutrito il tuo bisogno d’amore. Non abbiamo accolto il tuo desiderio di vita. E ora raccogliamo, nelle mani sporche, solo lacrime che però non” ri-porteranno in vita lo stuolo di piccoli angeli, custodi dell’umanità. Signore, se puoi, non al-lontanarti da noi, abbiamo bisogno di Te, siamo peccatori. Amen”.