Acclamato e venerato come un vero e proprio idolo, il leader del “fronte antieuropeista” si è presentato al cospetto del popolo agrigentino con una grinta e una determinazione non indifferente.
Lui, ha subito capito la platea presente in quella piazza in cui negli anni passati hanno comiziato molti dei politici che puntualmente hanno dimenticato Agrigento; ha compreso e ha saputo “infiammare” sostenitori, simpatizzanti e gente “curiosa”. Quella gente forse fin troppo stanca e delusa da anni di promesse e speranze.
Con Salvini, sul palco, il candidato sindaco Marco Marcolin. Il deputato veneto pronto a spazzare via quei politici che proprio ad Agrigento hanno trovato fortuna. Matteo Salvini sa bene infatti che la città dei Templi è considerata culla della politica nazionale; territorio che ha avuto, e continua ad avere, numerosi esponenti di rilievo dello scenario politico nazionale. “Città del ministro Angelino Alfano” come ha più volte sottolineato lo stesso leader “padano”.
Una città che sembra aver perso oramai la speranza di una “rinascita”. Ed è stato forse questo il successo inaspettato di una visita che in altri tempi sarebbe invece divenuto scenario di forti proteste e ribellioni. Dalla visita di ieri alcuni si sarebbero aspettati “uova”, “pomodori” e “fischi”, ed invece scroscianti applausi per tutto il comizio. Salvini ha semplicemente detto ciò che la gente si vuol sentir dire.
Ma di questo non troppo inaspettato successo, una considerazione va fatta. Agrigento ha riscoperto il “gusto” di ribellarsi; il “gusto” di saper reagire contro quello stato di cose che per incapacità politica e amministrativa ha relegato la città agli ultimi posti in classifica. Strade dissestate, servizi inesistenti, carenza di infrastrutture sono solo alcuni degli esempi più lampanti di come l’indignazione collettiva ha suscitato negli animi un senso di ribellione mai visto. Di esempi in questi mesi ne abbiamo visti parecchi: manifestazioni contro “gettonopoli” o per protestare contro la morte di chi, ancora oggi, muore per una buca. Manifestazioni di movimenti civici, di gente comune, animata dallo spirito di far scuotere nelle Istituzioni e nella classe politica un senso di intolleranza verso un sistema di lassismo più totale.
“Indignazione”, quella stessa “indignazione” che Stéphane Hessel reputava essere fondamentale, perché “Quando qualcosa ci indigna come ha indignato il nazismo, allora diventiamo militanti, forti e impegnati. Abbracciamo un’evoluzione storica e il grande corso della storia continua grazie a ciascuno di noi”.
Ma ad Agrigento sembra quasi che il corso della storia si fermi inesorabilmente. Un circolo continuo di “indignazione” che nasce e muore nello stesso identico istante.
Oggi assistiamo a che quei movimenti civici che cercano di scuotere le coscienze dei cittadini si ritrovano a sostenere quegli stessi candidati sindaci che sono frutto di quelle forze politiche che ci hanno governato e hanno reso Agrigento quella che è. Una “indignazione” che è servita solo per “svendersi” a questo o quel politicante per ottenere un tornaconto. Ed oggi siamo nuovamente qui ad “indignarci” e a comprendere come nella terra di Pirandello e Sciascia sia ancora viva quella contraddittorietà insita nel Dna di ognuno di noi.
Il successo di Salvini? Eccone spiegata la motivazione. Agrigento è ancora oggi “terra di conquista” e di tornaconto personale.
Francescochristian Schembri
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