Di seguito l’omelia dell’arcivescovo pronunciata durante la celebrazione del mattino.
“Dopo aver celebrato ieri la solennità di tutti i Santi, oggi la Chiesa ci invita a ricordare e a pregare per i nostri fratelli defunti. Per quanti abbiamo conosciuto e ci sono cari, ai quali va il nostro affetto e la nostra gratitudine, e per quanti non abbiamo conosciuto e che nessuno ricorda, penso in questo momento ai molti fratelli immigrati sepolti nei cimiteri della nostra provincia e in Agrigento o a quanti sono coperti dalla sabbia del deserto o sono in fondo al mare, dei quali conosciamo solo la tragedia che li ha colpiti.
Siamo qui per testimoniare la nostra fede nella resurrezione e dire che abbiamo la consapevolezza di essere misteriosamente uniti ai nostri fratelli che godono della visione piena di Dio: la comunione dei santi. Il cristiano, infatti, è colui che crede che la morte in Cristo è stata superata. Questo però non comporta “un effetto camomilla”, di rassegnazione, ma ci dà consapevolezza che in ogni momento moriamo un po’, ma nello stesso tempo ogni giorno nasciamo continuamente.
È vero, il mistero della morte turba tutti. Ogni anno, in questa celebrazione, abbiamo qualcuno in più per cui pregare: genitori, fratelli, sposo, sposa, o più dolorosamente figli.
La Sacra Scrittura ci consola comunicandoci che la morte più che una fine, è una nuova nascita, è il passaggio obbligato attraverso cui possono raggiungere la vita eterna coloro che modellano la loro esistenza terrena secondo le indicazioni della Parola di Dio.
Il cristiano è uno che vive la propria vita alla luce della propria morte. È uno capace di fare delle scelte coraggiose e fuori dall’ordinario perché crede in un Dio capace di nascere in una grotta e di morire su una croce. Il cristiano crede in un Dio che lascia il suo cielo per farsi compagno di cammino di quanti in lui confidano e sperano.
Il ritornello del salmo responsoriale, col quale abbiamo pregato – “Chi spera in te Signore non resta deluso”- è un invito a guardare alla morte con atteggiamento di speranza cristiana, che è ben diversa da quella umana che spesso si colora di dubbi, incertezze e paure sfociando in quel triste detto: “Chi di speranza vive disperato muore”. La speranza cristiana è altro, la speranza cristiana ha un volto; ha un nome; è una persona: Cristo Gesù vincitore della morte e datore di vita.
La morte, a differenza di chi non crede, è per il cristiano seme di vita, certezza che alla fine del suo pellegrinaggio su questa terrà troverà ad attenderlo l’abbraccio di Dio che lo farà essere una sola cosa con Lui.
Immersi in questo clima di speranza cristiana meditiamo quanto il Signore ci ha suggerito attraverso la sua Parola. Nella prima lettura, il profeta Isaia, ci dice che Dio “strapperà …. il velo che copriva la faccia di tutti i popoli. Eliminerà la morte per sempre. Asciugherà le lacrime su ogni volto”.
Sono parole, queste, di profonda consolazione, che ci assicurano che la morte non è la fine di tutto, ma è un passaggio, anche se doloroso. E l’autore del libro della Sapienza ci ricorda che Dio non ha creato la morte perché essa c’è a causa della malvagità del demonio. E Dio l’ha sconfitta per mezzo della morte e resurrezione del suo Figlio Gesù. Questo motivo ci carica di speranza così che con Isaia possiamo dire: “Ecco il nostro Dio; in Lui abbiamo sperato perché ci salvasse . Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza”.
La certezza che non siamo abbandonati dall’amore e dalla misericordia di Dio, ce la dà anche la seconda lettura in cui Paolo dice che “ quanti sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio…. Per mezzo di questo Spirito gridiamo: «Abbà, Padre»”. E aggiunge che se siamo figli siamo anche eredi di Dio e coeredi di Cristo.
Dunque il mistero pasquale di Cristo, di morte e resurrezione, in cui siamo stati innestati nel giorno del nostro Battesimo, ci mette in una prospettiva di profonda speranza. Questo è il motivo per cui il cristiano davanti al distacco doloroso che provoca la morte, e nonostante il suo pianto, perché non può abituarsi alla morte sapendo di essere fatto per la vita, continua ad alimentare nel proprio cuore la speranza, certo che il suo destino non è il nulla ma la vita eterna.
Come fare per avere la vita eterna, cioè, come fare per raggiungere i nostri cari; cosa fare per raggiungere il paradiso ovvero il cuore di Dio? È la domanda che ci poniamo tutti. Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci ha detto che basta credere nella misericordia di Dio che ci giudicherà. Su cosa? Non sulla religiosità, non sulle preghiere che recitiamo, cose che ci fanno sentire buoni, bravi e qualche volta un po’ bigotti, ma sulle scelte concrete che parlano di amore: “…mi hai dato da bere e da mangiare, mi hai fornito dei vestiti, ti sei preso cura di me, mi hai accolto, ecc…”. Diceva San Giovanni della Croce: “Alla fine della vita saremo giudicati sull’amore”. Il Vangelo ci dice che dobbiamo amare Cristo nel povero, nel carcerato, nell’affamato, nell’immigrato: costoro sono la porta che ci apre al Paradiso.
Dio non ci chiede cose grandi, ma quelle piccole, quelle che possono sembrare insignificanti ma che invece, per Lui, hanno un grande valore. Penso al lavoro silenzioso delle mamme e mogli che spesso passa inosservato anche dagli stessi figli e mariti, penso ai sacrifici dei papà, alle strette di mano, ai bicchieri d’acqua, alle pacche sulle spalle, ai semplici sorrisi che riescono a dare un tono diverso alla giornata di chi ne è stato il destinatario. Sono quei gesti normali della quotidianità per i quali il Signore dice: “Venite, benedetti dal Padre mio”
Se è così possiamo dire che il Paradiso comincia già qui, quando cioè siamo caritatevoli con i nostri fratelli, e faremo dell’amore la regola della nostra vita, tenendo anche conto che tali gesti vanno a suffragio delle anime dei nostri defunti.
In questo giorno particolare, a ciascuno di noi, il Signore chiede di vivere bene la nostra vita e di preferire la carità che soccorre le tante povertà vecchie e nuove di tanta gente, cosicché quando saremo davanti a Lui, confidando nella sua Misericordia e nella sua pietà, sentiremo rivolte a noi le sue parole: “Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dall’eternità”.
Preghiamo perciò il Signore di essere segno della sua Misericordia in questa terra e chiediamo per i nostri defunti la pace eterna e la risurrezione nel giorno del giudizio.
Fonte testo e foto diocesiag.it