Dopo la scena muta del nipote, anche il presunto boss agrigentino Antonio Massimino non parla davanti ai pm.
L’inchiesta riguarda il mini arsenale sequestrato dai militari dell’Arma dei Carabinieri e scoperto mentre stava per essere occultato dai due.
Come si ricorderà, Antonio Massimino, conosciuto negli ambienti giudiziari poiché condannato per associazione mafiosa nelle inchiesta “San Calogero” e “Akragas”, è finito nei guai con il nipote dopo che i militari dell’Arma dei Carabinieri lo trovarono in possesso di un’arma da fuoco, una pericolosa semiautomatica calibro 7,65, con la matricola totalmente abrasa, caricatore completo di sei cartucce inserito e pronta all’uso.
Vicino al “ferro”, i militari hanno anche trovato circa 200 cartucce di vario calibro, e infine due penne pistola calibro 6,35, uguali a quelle viste nei film degli 007. Infine, ben nascosto, è stato anche sequestrato un rilevatore di frequenze. Insomma, un vero e proprio armamentario pronto a fare fuoco in ogni momento e ad eludere i controlli delle Forze dell’Ordine.
Antonio Massimino e il nipote Gerlando, furono arrestati lo scorso 6 febbraio. Nelle scorse settimane si sono svolte le operazioni sulla consulenza tecnica disposta dal pm. Le armi – secondo la perizia – erano perfettamente funzionanti ed in grado di essere usate in qualsiasi momento. Il pm aveva disposto una consulenza tecnica “per il prelievo di eventuale Dna presente sulle armi e sulle munizioni sequestrate, l’evidenziazione di eventuali impronte papillari e lo svolgimento di accertamenti balistici”.
Prima dell’approdo in aula, la Procura ha voluto ascoltare i due, ma non vi sarebbe stata alcuna dichiarazione poiché i due si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.