Ha introdotto i lavori l’avvocato Concetta Santangelo. Sono intervenuti, tra gli altri, il sindaco Margherita La Rocca Ruvolo e l’architetto Giuseppe Verde che ha mostrato un’ampia documentazione fotografica e giornalistica sul sisma del Belìce. Durante l’iniziativa anche un momento di preghiera con l’arciprete don Emanuele Casola e la lettura di alcuni brani del libro a cura di Maria Antonietta Cuccia, Liliana La Rocca e Marilena Ganci.
“La memoria è fondamentale, per non dimenticare la tragedia – ha detto il sindaco Margherita La Rocca Ruvolo – è necessario che le giovani generazioni possano non solo vedere le immagini del disastro e ascoltare racconti e testimonianze ma anche vivere i luoghi devastati dal terremoto. L’obiettivo è quello di mantenere viva la cultura di un popolo soprattutto dove, come nel caso di Montevago, per scelte che sono legate al trasferimento del centro urbano dopo il sisma del ‘68, rischia di perdersi. Noi ci stiamo impegnando per rendere vivo il vecchio centro del paese organizzando qui diverse iniziative. Solo attraverso la fruizione può rimanere vivo il ricordo di quello che questo luogo ha rappresentato per i nostri antenati. Per noi che oggi viviamo la Montevago post terremoto non dimenticare è un dovere”.
Non riprendono solo i ruderi e le ferite al tessuto urbano di paesi e villaggi. Fissano l’obiettivo anche sulle file dei terremotati che aspettano la distribuzione del cibo e delle tende, le donne avvolte nelle coperte portate via dalle case abbandonate dopo le prime scosse, famiglie che vivono con dignità il dolore per avere perso tutto, i volti impauriti dei bambini. In due foto c’è tutto il dramma di “Cudduredda” che commosse tutto il mondo due volte: prima quando la bambina fu estratta viva dalle macerie e poi quando due giorni dopo morì in ospedale. Le testimonianze di cronisti e scrittori, le immagini di una grande tragedia individuale e collettiva, le ferite al paesaggio e al patrimonio artistico ponevano sin dal primo momento l’urgenza della rinascita. E invece, scrive Marino, aprivano il lungo periodo del post-terremoto fatto di cambiamenti radicali nel tessuto sociale e urbanistico, sprechi, ritardi, speculazione, malaffare. Tutti i mali di una “ricostruzione infinita” che cinquant’anni fa quei poveri cristi rimasti senza casa non potevano neppure immaginare.