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Educare con violenza è reato. Condannato per maltrattamenti in famiglia

violenzaRisponde del reato di “Maltrattamenti in famiglia” stabilito dall’articolo 572 del codice penale il genitore che dà botte e denigra il figlio anche se con finalità “educative”.

A stabilirlo la Corte di Cassazione con la sentenza n. 30436/15, depositata in data di ieri 13 luglio che per Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”, costituisce un vero e proprio monito a quei genitori che utilizzano comportamenti violenti nei confronti dei propri figli pur mascherandoli con intenti educativi.

La sesta sezione penale della Suprema Corte ha infatti rigettato il ricorso di un padre, condannato dalla Corte d’appello di Trieste a un anno e otto mesi di carcere per aver maltrattato il proprio figlio minore e avergli provocato lesioni personali.Per l’uomo, la decisione della corte territoriale non aveva valutato correttamente la credibilità del teste e le sue accuse ed era arrivato a concludere che le proprie condotte – quali abituali maltrattamenti, umiliazioni e continui rimproveri – avevano una funzione pedagogica, cioè erano dei mezzi finalizzati esclusivamente a uno scopo educativo.Gli ermellini nel respingere tali doglianze ha al contrario statuito il principio che l’uso abituale di violenza a scopi educativi concretizza il reato di maltrattamenti in famiglia.

Per il Collegio, infatti, nel concetto di maltrattamenti rientrano non solo comportamenti violenti, ma anche “abituali espressioni offensive e degradanti” ai danni del minore.I Giudici di Piazza Cavour chiariscono, infatti, che “il termine correzione va assunto come sinonimo di educazione e non può ritenersi tale l’uso abituale della violenza a scopi educativi, sia per il primato che l’ordinamento attribuisce alla dignità delle persone, anche del minore, ormai soggetto titolare di specifici diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione, sia perché non può perseguirsi quale meta educativa lo sviluppo armonico della personalità usando un mezzo violento che tale fine contraddice”.

Quindi, l’abuso di mezzi di correzione violenti integra gli estremi del reato di maltrattamenti in famiglia e non rientra nella fattispecie prevista dall’articolo 571 c.p., “neppure ove sostenuto da animus corrigendi, poiché l’intenzione soggettiva non è idonea a far rientrare nella fattispecie meno grave una condotta oggettiva di abituali maltrattamenti, consistenti, come nel caso di specie, in continue umiliazioni, rimproveri anche per futili motivi, offese e minacce, violenze fisiche”.