fbpx
Italia

La CGIL ricorda la tragedia di Marcinelle

cgilL’8 agosto 1956, nella miniera di Bois du Cazier, in un rogo morirono 262 minatori. Gli emigrati italiani erano 136, trattati come esseri inferiori.

Ma su sicurezza ed emigrazione le risposte di oggi sono le stesse del passato, la CGIL di AGRIGENTO ricorda quella tragedia e i morti di Agrigento, quelli partiti da Montaperto come Carmelo Baio (nato il 21 novembre 1920) e Calogero Reale (nato il 27 giugno 1922) ai quali fu spezzata la vita e fu negato un futuro, prima in Agrigento, poi in Sicilia ed ancora dopo in Italia sino in Belgio.
In quel posto lontano le loro mogli (entrambe si chiamavano Maria) rimasero vedove e divennero orfani i 2 figli di Carmelo ed i 3 di Calogero.
Sulla questione Vi proponiamo la riflessione che il Coordinatore Area politiche europee e internazionali della Cgil Nazionale, Fausto Durante, ha fatto sul giornale on line della CGIL Rassegna Sindacale.

Sabato 8 agosto ricorre il cinquantanovesimo anniversario di una delle più tremende tragedie della storia del lavoro e del movimento operaio. Nel 1956 a Marcinelle, nella miniera di carbone del Bois du Cazier, un rogo tremendo bruciò la vita di 262 minatori. Tra questi, 136 italiani. Una piccola parte delle decine di migliaia di lavoratori di ogni regione del nostro paese che, in ossequio a un accordo che il governo italiano aveva stipulato con il governo belga nel 1946, rappresentavano la contropartita di forza lavoro in cambio della fornitura di carbone all’Italia.

La terribile sciagura di Marcinelle squarciò, come un lampo improvviso, il buio sulla situazione miserevole in cui gli immigrati, non solo italiani, vivevano ai margini degli impianti minerari. Baracche di lamiera un tempo destinate a usi militari erano state trasformate in alloggi per i minatori e per le loro famiglie, che vivevano, spesso con molti bambini, in un contesto precario e carente quanto a igiene e salute. Gli orari e le condizioni di lavoro nella miniera erano sfiancanti e distruttivi, per le polveri respirate e per l’attività prestata a centinaia di metri sottoterra in posizioni scomodissime e in spazi troppo ristretti, con patologie ricorrenti e gravi a carico dell’apparato muscolo-scheletrico. Ma soprattutto gli immigrati in Belgio, e in particolare gli italiani, sperimentavano l’ostilità, l’atteggiamento discriminatorio, le pratiche razziste da parte delle comunità locali. Il termine “italiano” era diventato, nel Belgio di quegli anni, il sinonimo di persona sgradita, di essere umano di categoria inferiore, a cui proibire l’ingresso nei caffè e nei locali pubblici e a cui non dare le case in affitto.
Proprio l’enormità della tragedia di Marcinelle, però, permise una generale presa di coscienza quanto all’inaccettabilità di quella situazione e diede vita a un processo di progressiva integrazione degli immigrati nel tessuto sociale e civile e, in generale, nella vita pubblica del Belgio, nazione che oggi vede tanti italiani di seconda e terza generazione protagonisti di primo piano nella politica, nella cultura, nello spettacolo, nello sport.
È inevitabile, proprio alla luce della vicenda di Marcinelle, il paragone con l’attualità, con ciò che avviene oggi. Ed è amaro constatare come l’Italia e l’insieme degli Stati europei, che sembrano nel pieno di un’amnesia collettiva sul proprio passato e sulle ragioni fondative del processo di costruzione dell’Unione Europea, non riescano a trarre dalla storia i giusti insegnamenti e a far sì che gli errori del passato non si ripetano più.
L’idea del lavoro, l’idea dell’importanza e della considerazione della funzione sociale – prima ancora che economica – del lavoro sono retrocesse nella scala dei valori imposti dal neoliberismo affermatosi incontrastato su scala mondiale. Sono arretrate, di pari passo, la condizione generale dei lavoratori, la capacità di tutela dei loro diritti, l’efficacia dell’azione collettiva dei sindacati, in un processo nel quale la chiusura identitaria, la dimensione individuale, la paura e l’egoismo sociale hanno pian piano cominciato ad avere la meglio, insieme al diffondersi di precarietà e incertezza nel lavoro e alla generale tendenza verso la diminuzione e l’impoverimento dei salari.
In questo contesto, specie nel nostro paese, l’approccio complessivo alle questioni che riguardano la salute e la sicurezza sul lavoro resta largamente insoddisfacente, come se appunto le grandi tragedie del passato non abbiano insegnato nulla. Ancora oggi, in Italia, si registra un numero elevatissimo di infortuni mortali nei luoghi di lavoro, per una macabra media di tre decessi al giorno legati a incidenti sul lavoro. A mo’ di esempio, basterebbe solo ricordare la recentissima esplosione di Modugno, in provincia di Bari, dove in una fabbrica di fuochi d’artificio hanno perso la vita nel medesimo incidente ben dieci lavoratori. Oppure l’angosciosa sequenza dei morti di caldo e di fatica per raccogliere pomodori e uva nelle campagne del Mezzogiorno, la fine delle vite di Mohamed, di Paola, di Zaccaria.
Ma il passato sembra non insegnarci nulla anche nel campo delle politiche dell’integrazione e dell’accoglienza dei lavoratori e delle lavoratrici migranti, dei rifugiati, dei richiedenti asilo, di tutti gli esseri umani che, qualunque sia la ragione che li muove, cercano un futuro e una prospettiva migliore per sé e per i propri cari. Esattamente come hanno fatto per generazioni i lavoratori italiani che hanno lasciato il nostro paese per cercare altrove fortuna, successo e benessere. E come continuano a fare, ancora oggi, tantissimi giovani italiani che devono emigrare per lavorare e affermarsi.

Al fenomeno delle migrazioni, l’Europa risponde pressoché ovunque con la faccia feroce delle politiche securitarie e della gestione del problema come questione di polizia e di ordine pubblico. Dunque tornano barriere e muri, in Europa, insieme a fenomeni di vero e proprio razzismo, di rifiuto di ogni diversità, di progressiva rarefazione di quei principi di tolleranza e solidarietà che hanno segnato sino ad ora il comune percorso europeo. Come le barriere di metallo sormontate da lame affilate che le autorità spagnole hanno costruito nelle enclave marocchine di Ceuta e Melilla per impedire il passaggio di migranti in territorio spagnolo. O come il muro di oltre 150 chilometri che l’Ungheria sta per realizzare lungo il confine con la Serbia, un’immagine che da sola riesce a evocare immagini e fantasmi di un passato non troppo lontano, fatto di eserciti in guerra e di nazioni in conflitto.
Un passato evocato anche dalle immagini di quei vagoni sigillati nei quali le autorità ungheresi hanno fatto viaggiare, in condizioni disumane, migranti provenienti dalla Siria e dall’Afghanistan. Immagini che fanno il paio con le scene che, ormai da mesi, vediamo a Ventimiglia o a Calais, dove sembra che i principi di umanità siano svaniti nel nulla e dove alle richieste di aiuto di esseri umani in fuga da fame, miseria, guerra, disperazione, persecuzioni razziali o politiche o religiose, si risponde con l’implacabile diniego burocratico e con la minaccia di liberare i cani per impedire l’attraversamento dei confini da parte dei migranti.

Sabato 8 agosto, come ormai da molti anni, la Cgil sarà con l’Inca a Marcinelle per la celebrazione di questo triste anniversario. Ci saremo con lo spirito di chi vuole coltivare il ricordo e la memoria per onorare i protagonisti di una storia che è di noi tutti, di chi intende apprendere dal passato per non commettere più errori, di chi pensa che la storia dell’Italia e dell’Europa debba continuare a essere segnata dall’apertura culturale e dal dialogo, di chi considera che il lavoro e le persone che lo svolgono siano importanti e diano senso al mondo. Ci saremo con i valori, con la storia, con la tradizione di lotta e di impegno della Cgil e del movimento sindacale italiano.