26 anni dal martirio di don Pino Puglisi: il ricordo di don Angelo Chillura
Sono trascorsi 26 anni da quando padre Pino Puglisi, oggi Beato, è stato ucciso per mano mafiosa a Brancaccio, quartiere popolare di Palermo.
Ricorre, infatti, il prossimo 15 settembre l’anniversario della sua morte.
Beatificato nel 2013 padre Puglisi è stato il primo martire della Chiesa vittima,appunto, della criminalità mafiosa. Oggi, però, il suo insegnamento è forte più che mai, come ci ricorda l’arciprete di Aragona, don Angelo Chillura, in questa sua lettera che riceviamo e pubblichiamo:
“Era il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno, pochi mesi dopo la visita di San Giovanni Paolo II in Sicilia e del suo anatema sulla mafia con l’invito ai mafiosi alla conversione, che la mafia uccide don Pino Puglisi.
Le parole del Papa, vennero accolte da don Pino come un rafforzamento all’opera pastorale che aveva iniziato nella parrocchia S. Gaetano a Brancaccio dove era stato nominato parroco tre anni prima, nel 1990. Un quartiere, quello di Brancaccio, dominato dalla famiglia mafiosa dei Graviano, considerato come la tana della più sanguinaria squadra di killer di Cosa Nostra, rifugio per i latitanti e vivaio dell’esercito mafioso. «Don Puglisi aveva ben compreso l’incompatibilità della mafia con il Vangelo e nei suoi confronti stava realizzando in parrocchia, tra la sua gente e con la sua gente, una concreta resistenza, evangelicamente ispirata e motivata. Quella sua resistenza cristiana parve ai mafiosi di Brancaccio un prolungamento – per loro intollerabile – del grido di Agrigento». (Lettera dei Vescovi, Convertitevi, 2.2.).
Riconosciuto il martirio “in odium fidei” per mano mafiosa, viene beatificato il 25 maggio 2013 a Palermo in una celebrazione al Foro Italico alla presenza di decine di migliaia di persone provenienti da tutta la Sicilia e da altre parti d’Italia. La memoria liturgica si celebra il 21 ottobre, ricorrenza del Battesimo.È sepolto nella cattedrale di Palermo, in una cappella della navata sinistra.
La giornalista Bianca Stancanelli nel suo libro sulla vita di padre Puglisi pubblicato nel 2003 (riedito nel 2011), a 10 anni dal martirio, titolo “A testa Alta – Don Giuseppe Puglisi: storia di un eroe solitario”, racconta con questa descrizione essenziale, asciutta, il momento dell’uccisione: «Era un uomo buono solo e disarmato. In quattro andarono a sparargli. Lo spiarono, lo seguirono, lo raggiunsero sul portone di casa. In silenzio gli andarono alle spalle. Lo fermarono. E per fermarlo lo chiamarono padre, perché era un sacerdote. Immobile, l’omicida teneva in pugno la vittima e la pistola. Non ebbe il coraggio di parlare. E un altro mentì per lui. “È una rapina”, disse. Ai suoi assassini rivolse tre parole: “Me lo aspettavo”. Furono le ultime parole che pronunciò. Sorrise, e fu l’ultimo dei sorrisi. […] Un solo colpo. Alla nuca. […] Lo uccisero perché dall’altare li aveva chiamati animali. Lui camminava a testa alta. Lo uccisero perché in Sicilia, terra di rispetto, stava insegnando che si può dire di no. Questa è la storia del parroco di Brancaccio. È la storia di un uomo che ha avuto coraggio» (p. 3).
La testimonianza di padre Puglisi spesse volte viene richiamata dai Vescovi di Sicilia nella lettera “Convertitevi” del 9 maggio 2018, per il 25o anniversario della visita di S. Giovanni Paolo II in Sicilia.
Quale messaggio P. Puglisi trasmette oggi a noi?
Egli “ha fatto il prete col cuore di Pastore”, disse Papa Francesco a Palermo il 14 settembre 2018 in pellegrinaggio ai luoghi di don Puglisi. Un pastore che ha cercato esclusivamente il bene delle persone. La testimonianza di don Pino Puglisi continua ad essere di grande attualità perché svolge una funzione profetica nell’indicare alle comunità cristiane ed al credente il percorso da compiere per tradurre il Vangelo. Egli ha voluto incarnare il Vangelo nella realtà storica, concreta, promuovendo lo sviluppo sociale e religioso in una terra condizionata dalla mafia, fenomeno antievangelico, che va contro la giustizia, l’amore e la dignità della persona, che blocca la crescita dell’uomo nuovo secondo il Vangelo.
La liberazione e la salvezza non riguardano solo l’aspetto spirituale della vita, ma l’uomo nella sua totalità. Per questo la liberazione dalla mafia per don Puglisi è stata esigenza intrinseca alla sua testimonianza evangelica per liberare l’uomo da ogni forma di male e di oppressione per aiutarlo a vivere nella libertà l’incontro con Cristo.
Padre Puglisi ci fa comprendere, quindi, come il fenomeno della mafia non riguarda solo lo Stato e la società civile ma è realtà che interpella la comunità ecclesiale. La «mafia è questione anche ecclesiale ed ecclesiologica», dicono ancora i Vescovi di Sicilia nella lettera del 9 maggio 2018.
Una Chiesa libera e liberante.
Per questo l’invito alla conversione riguarda i mafiosi ma anche coloro che vivono nella Chiesa. Una Chiesa che deve porre maggiore attenzione al suo interno per eliminare quei comportamenti che impediscono una reale resistenza alla mafia o, peggio, che possono riprodurre atteggiamenti del mondo mafioso. Si possono riscontrare all’interno delle strutture ecclesiali atteggiamenti paramafiosi, comportamenti omertosi. Può capitare che il virus del potere aggredisca strutture ecclesiali perché si fa un uso arbitrario e prevaricatore del potere”.