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Agrigento, prima domenica di San Calogero. Don Giuseppe Cumbo: “ha un posto particolare nel cuore del popolo di Dio”

“È con gioia che ogni anno celebriamo la festa di san Calogero. Il popolo agrigentino attende festoso le prime due domeniche di luglio per riabbracciare e il “Santo nero”. Il “bel vecchio” è grande e ha un posto particolare nel cuore del popolo di Dio perché ha saputo mettersi in ascolto di Dio — lo dimostra quel libro aperto che tiene tra le mani — e in ascolto dell’uomo — atteggiamento rappresentato dagli occhi rivolti verso i devoti che lo invocano”.

Sono queste le parole dell’omelia pronunciata questa mattina da don Giuseppe Cumbo nel Santuario di San Calogero: “Far festa e ricordare san Calogero, dunque, per noi cristiani significa ringraziare Dio perché nella Chiesa ha suscitato uomini e donne che hanno saputo tradurre il Vangelo in gesti concreti di carità, pregare gli uni per gli altri per essere capaci di fare altrettanto nella nostra quotidianità.
A pensarci bene san Calogero ci invita a valorizzare il tempo e lo spazio nei quali Dio ci ha collocato vivendo bene l’ordinario. Egli ha percorso le strade della nostra città, del nostro territorio, nel periodo storico in cui ha vissuto e si impegnato a dare risposta ai bisogni e alle situazioni problematiche del suo tempo. Non lamentandosi e aspettando dagli altri il cambiamento ma attuando la rivoluzione dell’amore, quella che ci insegna Gesù nel Vangelo, la rivoluzione fatta di gesti semplici e concreti: amore per la propria terra, attenzione alle necessità e ai bisogni dei fratelli, coinvolgimento degli altri nella carità, vita offerta per amore.

Contemplando la santità di san Calogero, impariamo da lui a lasciarci stimolare dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato.
Come abbiamo pregato nella Colletta, siamo invitati a
vincere la nostra incredulità,
riconoscere la presenza di Dio nella storia
vivere con fermezza la nostra missione nella Chiesa e nel mondo

Insieme a voi, per sintetizzare il messaggio della Parola, vorrei fare tre soste che potremmo immaginare come tre cerchi concentrici: il contesto, il cristiano, Dio.
Partiamo dal più esterno: il contesto.

I brani della Parola di Dio proposti in questa XIV domenica del tempo ordinario ci presentano dei contesti ostili e chiusi alla novità del Vangelo. Ezechiele, profeta dell’esilio babilonese, è inviato da Dio «ai figli di Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me (…) figli testardi e dal cuore indurito» (Ez 2,3.4). L’apostolo Paolo deve contrastare i giochi di potere presenti nella comunità di Corinto e il combattimento che vive con se stesso e con la sua fragilità. Gesù ritornando a Nazareth trova un contesto segnato dallo stupore di alcuni, «E molti, ascoltando, rimanevano stupiti» (Mc 6,2), e dall’incredulità di molti «Ed era per loro motivo di scandalo» (Mc 6,3).

Anche nel nostro attuale contesto e nella vita di ciascuno di noi non mancano durezza di cuore, giochi di potere e incredulità soprattutto quando disfattisti, detrattori e pessimisti non riescono a intravedere le potenzialità dell’uomo e del territorio.
In questi casi ci comportiamo come gli ebrei esiliati, non ci accorgiamo che, nonostante le contraddizioni, Dio continua a inviare i suoi profeti e con essi la sua Parola; assumiamo l’atteggiamento dei superapostoli della 2Cor, che per non far venire meno il loro potere creavano scompiglio, ostacolavano la diffusione del Vangelo e penalizzavano la comunità; ancora peggio, ci comportiamo come i nazaretani, presi dall’ovvietà e dal pensare di conoscere tutto su Gesù e sugli altri non ci lasciamo stimolare dalla novità, non accorgendoci del passaggio di Dio nella nostra storia.

Sarà capitato anche a san Calogero di ritrovarsi immerso in un contesto del genere. Ma il nostro ricordo — nonostante siano trascorsi secoli dal suo passaggio nella nostra terra — dimostra che non si è lasciato scoraggiare da tutto questo. È andato avanti, proprio come Gesù nel Vangelo, e ha continuato a mettersi in ascolto di Dio e dell’uomo.

Secondo cerchio concentrico: il cristiano

Quale deve essere il nostro atteggiamento? Un suggerimento ci viene offerto dall’esperienza del profeta Ezechiele: «uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava» (Ez 2,2). Dobbiamo “alzarci”, “risorgere”, rimboccarci le maniche, «ascoltino o non ascoltino». Dovremmo recuperare nella nostra Agrigento l’amore per il bene comune, il rispetto dell’ambiente, la cittadinanza attiva. La comunità cristiana, forte del dono dello Spirito, ha bisogno di recuperare la sua identità e la missione che Gesù indica nelle immagini del sale, del lievito e della luce.
Il nostro atteggiamento deve ispirarsi anche all’esperienza di Paolo — come ci ha suggerito la seconda lettura — nella nostra debolezza e nelle contraddizioni emerga la nostra fiducia in Dio e nell’uomo. Allontaniamo da noi la tentazione dello scoraggiamento e della rassegnazione. Impariamo da Gesù che nonostante la durezza di cuore e l’incredulità dei suoi concittadini ha continuato a percorrere le strade della storia insegnando il Vangelo della speranza.

Questi atteggiamenti possiamo riscontrarli in san Calogero. Proprio per questo vorrei paragonarlo a un restauratore. È il paragone che ho proposto ad alcuni ragazzi parlando del beato Rosario Livatino.
San Calogero, il beato Rosario sono stati capaci di vedere al di là della povertà, della mentalità mafiosa, delle contraddizioni della nostra storia. Nonostante le difficoltà caratterizzanti il loro contesto storico e sociale “si sono alzati in piedi” perché oltre “lo sporco” hanno intravista la bellezza del nostro territorio, le potenzialità del nostro popolo e il desiderio di riscatto dei nostri cuori.

E allora, alziamo in piedi dal nostro torpore e mettiamo in pratica la parola ascoltata.

Terzo cerchio concentrico: Dio

Il nostro Dio continua a darci fiducia. Per concludere ritorno agli inviti dell’orazione colletta. Dio ci aiuti a vincere la nostra incredulità e a riscoprire un vero rapporto con lui, non fatto solo di consuetudini ma di un vero incontro con Lui, tale da poter cambiare la nostra vita.
Il Signore ci aiuti a riconoscerlo presente nella storia. È in mezzo a noi, riuniti nel suo nome; è nel povero, è nel migrante, è in chi sta seduto accanto a noi. Come san Calogero possiamo essere capaci di accorgerci sempre del passaggio di Dio nella nostra storia e possiamo essere capaci di riconoscerlo nel volto del fratello.
E infine, il Signore ci doni fermezza e audacia nel vivere il nostro essere cristiani nel mondo.

Il Signore esaudisca le nostre preghiere: la nostra terra ha bisogno di acqua, di lavoro, di amore per la vita e per la legalità. Ha bisogno di crescere nella speranza e di rialzarsi.
E chiamamu a cu n’aiuta”.